“[…] Il mio giudice interiore (la definizione “giudice interiore” è una
semplificazione, un’etichetta, per rappresentare quel complesso di
credenze, limitazioni, difese, condizionamenti, ecc… che, nella mia
storia personale, mi sono dato, mi sono “costruito” ed a cui aderisco
nell’agire le mie modalità difensive) è un sistema rigido, cioè risponde
nelle varie situazioni nella stessa modalità (paura, rabbia, fuga,
svalutazione…), quindi, non tiene conto del contesto in cui mi trovo
e delle varie possibilità che, invece, l’esistenza mi offre
quotidianamente, tagliando via così opportunità ed esperienze dirette di
vita. Inoltre, tale rigidità di manifesta anche quando sono di fronte a
delle scelte. Infatti, quando le scelte si limitano a due opzioni:
<<devo scegliere tra “o” od “o”>> (e già il “devo” è
sintomatico di “giudice”), cado in una situazione di conflitto, di
opposizione, di separazione, perché comunque sento che perderò qualcosa.
Invece, se mi apro alle infinite possibilità della mia vita e della mia
esperienza diretta, le scelte sono infinite, sono tra “e” ed “e”, e qui
non c’è opposizione, separazione ma integrazione. […]”
(Laboratorio di Pratica della Presenza)
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